TRIESTE (NOSTRA GALLERIA FOTOGRAFICA)
Il Piccolo Trieste (on line)
Sciopero immigrati, 800 in marcia
Cancellate scritte razziste in centro
TRIESTE. Nel pomeriggio, un corteo di 700-800 persone – più di mille secondo gli organizzatori-, ha attraversato il centro della città preceduto da uno striscione con la scritta “Siamo tutti stranieri e antirazzisti”. Nel corso della manifestazione, i partecipanti sono andati “a caccia” di scritte razziste sui muri per cancellarle. Altre mobilitazioni si sono svolte a Udine, con sit-in e concerti, e a Pordenone, con un raduno nel centro cittadino.
PORDENONE
Messaggero Veneto MARTEDÌ, 02 MARZO 2010 Pagina 3 – Pordenone
Grido d’allarme durante “24 ore senza di noi”: «I posti di lavoro oggi scarseggiano e gli ultimi arrivati ce li soffiano»
Ieri in piazza XX settembre, oltre a sorrisi e palloncini colorati anche un messaggio forte
Gli immigrati di prima generazione «Rischiamo una guerra tra poveri»
LA MANIFESTAZIONE
di MARTINA MILIA
Centinaia. Almeno 300, secondo la questura, gli immigrati (in prevalenza africani, magrebini, indiani) che hanno partecipato alla manifestazione.
Giallo. Il colore dei palloncini che hanno addobbato le piazze italiane – piazza XX settembre a Pordenone – in occasione della “Giornata senza di noi”
Lavoro. La perdita dell’occupazione e del permesso di soggiorno è la paura più diffusa in tempo di crisi. La mancanza di lavoro genera una guerra tra poveri.
Tante nazionalità una sola identità: immigrato. Alcune centinaia di cittadini africani, arabi, indiani (300 in tutto per le forze dell’ordine) e alcune decine di italiani ieri pomeriggio hanno occupato pacificamente piazza XX settembre per raccontare l’altra faccia dell’immigrazione, “una giornata senza di noi”. Chi ha il lavoro è arrivato a fine turno, chi quel prezioso impiego non lo ha più è arrivato fin dalle prime ore del pomeriggio. Tante le storie, una la paura: «si sta creando una guerra tra poveri perchè i nuovi arrivati sono più tutelati di chi è qui da tempo e, se perde il posto, rischia il rimpatrio».
alloncini gialli – lanciati e scoppiati in segno di festa intorno alle 18.30, in contemporanea a 60 piazze italiane –, bambini, donne, uomini, si sono mescolati dopo che i giochi, i tamburi e i discorsi al microfono hanno richiamato tutti ad appropriarsi della piazza. Tra tanti colori, non solo della pelle, il giallo – quello scelto come simbolo della giornata – ha unito grandi e piccoli, italiani e stranieri, tutti insieme per riflettere sull’opportunità di stare insieme.
Alla domanda perchè sei qua oggi? la risposta ieri pomeriggio era quasi sempre la stessa: «vivo in Italia da tanto tempo ma oggi che lavoro ce n’è poco rischio di essere mandato a casa mentre chi è appena arrivato e trova impiego è più tutelato di me. Se andiamo avanti così si crea una guerra tra poveri». E di lavoro e diritti – tra un gioco per i bambini, un’esibizione di tamburi e un kebab – hanno parlato i vari intervenuti sul palco fino all’imbrunire. Sul palco mancavano le luci ma il buio non ha spento la festa e la voglia di parlare.
Il rischio di trasformare i lavoratori in clandestini è stato al centro dell’intervento del segretario provinciale della Cgil Emanuele Iodice. «Siamo tutti preoccupati dall’applicazione rigida della Bossi Fini – ha detto Iodice – perchè vorrebbe dire trasformare in clandestini molte persone che vivono qui da anni. Spingere le persone a diventare clandestini non è interesse neanche degli italiani. Il nostro sistema non può permettersi di perdere milioni di posti di lavoro nè di persone che pagano le tasse».
Un no secco alla Bossi Fini è arrivato anche da Mauro Marra (presidente dell’associazione immigrati) che, a chiusura degli interventi ufficiali, ha individuato tre priorità: «chi perde il lavoro ed è stato sfruttato per anni non può essere mandato via dopo sei mesi, serve un permesso di soggiorno di due anni per tutti»; la battaglia per tenere aperto l’ambulatorio per gli stranieri temporaneamente soggiornanti «va proseguita e se serve dobbiamo tornare in piazza»; la giornata di ieri deve essere l’inizio di un percorso comune, «quello che manca è lo stare insieme».
Molto applaudito dalla platea il rappresentante della comunità dei Tuareg che ha invitato tutti a battere le mani «per gli italiani che oggi sono qua tra noi» e ha esortato i presenti a «essere uniti per difendere la nostra dignità. Siamo venuti in Italia per cercare una vita migliore: se non vogliono gli immigrati che ci lasciano i diamanti e il petrolio in Africa». La legge «deve essere uguale per tutti – ha aggiunto –: gli Stati Uniti sono diventati una potenza perchè hanno accettato persone di tutti i colori. Serve una società mista per lo sviluppo del mondo».
A raccontare il senso vero della manifestazione, Edi Ntumba Dinanga, del comitato Primo marzo. «Siamo qui per manifestare la nostra presenza: non siamo solo manodopera, siamo persone. Non voglio parlare dei nostri diritti bensì dei nostri doveri e per questo mi rivolgo anche agli italiani – ha detto –: vigilate sulla libertà che i vostri padri hanno conquistato e hanno tradotto nella Costituzione. Mi sono divertito a leggerla, invito anche gli italiani a farlo». Gli immigrati sono pronti a fare la loro parte «ma gli italiani devono dare l’esempio. Cosa devo fare quando sento il Primo ministro dare dei talebani ai magistrati?». Gli immigrati, ha precisato Edi, «non vengono qua per arricchirsi. Veniamo in Italia perchè cerchiamo soprattutto la libertà che nei nostri Paesi non c’è».
UDINE
Il Messaggero Veneto Udine
Immigrati e italiani in piazza:
in Friuli le leggi più razziste
UDINE. «Nelle scuole distribuiamo uno yogurt due volte la settimana. Vogliamo insegnare ai bambini a mangiare sano, ma con la nuova Finanziaria regionale possiamo dare questi yogurt solo a chi è residente in Fvg da almeno 36 mesi. Ma, agendo in questo modo, cosa imparano i bambini?». La risposta al sindaco Honsell l’hanno data ieri i circa 500 partecipanti al primo “ sciopero” degli stranieri.
Hanno cantato e ballato tutti con addosso almeno qualcosa di giallo, il colore simbolo del cambiamento. Stranieri e italiani. Lavoratori e disoccupati. Donne e bambini, giovani e anziani. Si sono ritrovati in piazza San Giacomo per dire «no al razzismo» e per chiedere che quei due yogurt vengano dati a tutti i bambini che ne hanno bisogno, indipendentemente dalla residenza o dalla cittadinanza. Ma anche per dimostrare che senza gli immigrati «la società italiana non funzionerebbe».
Nella sola provincia di Udine i lavoratori immigrati sono 40 mila. «Senza di loro – assicura il referente immigrazione della Cgil, Abdou Faye – molte fabbriche e negozi chiuderebbero, ma anche le scuole sarebbero in difficoltà. Basti pensare che gli stranieri iscritti alla scuola dell’obbligo sono circa 6 mila».
Ecco perché ieri tra i manifestanti le parole più gettonate erano rispetto e uguaglianza. Qualcuno ha domandato che vengano restituiti ai lavoratori stranieri costretti a tornare in patria i contributi versati per gli anni lavorati in Italia. E quando il sindaco Honsell ha ricordato il caso degli yogurt o dell’i mpossibilità di ospitare un senzatetto all’asilo notturno (a meno che non ci siano i “famosi” 36 mesi di residenza) e anche dei bonus bebé riservati ai residenti da più di 5 anni, il grido della folla si è fatto più intenso.
Un grido riassunto molto bene da un cartellone dove si leggeva: «Il Friuli non merita le leggi più razziste d’Europa». Sul fatto «che la Regione Fvg sia la più razzista» invece i manifestanti non avevano dubbi. Colpa «delle politiche razziste sul welfare» ha sintetizzato don Pierluigi Di Piazza, mentre un udinese ha preso il microfono per sottolineare «che i friulani non sono razzisti e la maggior parte della gente si vergogna quando la Lega cerca di chiudere gli ambulatori agli immigrati». Ed è proprio per quello che – ha sottolineato Di Piazza – «alle ronde il Friuli tutto ha risposto no grazie».
Per dire «no al razzismo» invece ieri sono stati lanciati in cielo centinaia di palloncini gialli e alla fine tutti i manifestanti hanno partecipato a un grande girotondo tenendosi per mano su invito dei comitati e dell’organizzatore dell’iniziativa, Hosam Aziz del Pd.
MV Udine MARTEDÌ, 02 MARZO 2010
Pagina 3 – Udine
Abdoul: ho resistito e mi sono diplomato grazie ai professori. Ahmed: sono un carpentiere esperto, ma le aziende non mi vogliono
«Insultato a scuola per il colore della pelle»
Le storie e le speranze. «Ma l’integrazione sta facendo troppi passi indietro»
Vivono tutti a Udine da molti anni, ma secondo loro non c’è integrazione. Dicono di aver subìto sulla propria pelle episodi di intolleranza. Ma non si arrendono. Vorrebbero un impiego per vivere con dignità. La crisi economica ha fatto perdere il lavoro a molti. E rischiano di essere costretti a tornare nel paese di origine. Questa la situazione dei cittadini immigrati che ieri hanno manifestato in piazza San Giacomo. Hanno tutti storie diverse da raccontare. C’è chi lavora e chi sta ancora cercando un modo per mantenersi.
Abdoul Mdiaye ha 25 anni e vive da 10 a Udine. Si è trasferito in Friuli dal Senegal, ma quando è arrivato ha incontrato grosse difficoltà. «Ho studiato all’Enaip per diventare carrozziere – racconta – e adesso lavoro in un’officina. Ma per me è stato molto difficile. I ragazzi a scuola mi insultavano per il colore della mia pelle e stavo per lasciare. I professori mi hanno detto di resistere e alla fine mi sono diplomato». Ma c’è anche chi è senza un’occupazione da due anni, come Ibrahim Abdellwahit, sudanese: «Sono arrivato in Italia come rifugiato, perché nel mio paese la gente si ammazzava per strada. Vivo a Udine da 4 anni e sono un saldatore. Ma quasi due anni fa ho perso il mio impiego a causa della crisi e ora sono in gravi difficoltà. Porto i curriculum nelle ditte, ma soltanto una su dieci lo accetta e comunque non mi richiama».
C’è anche chi ha trovato un impiego che dà garanzie e nel suo lavoro aiuta proprio gli immigrati, come Awa Kane, senegalese, che è arrivata in piazza con la sua bambina più piccola. «Faccio la mediatrice culturale e aiuto gli extracomunitari a trovare un contatto con i distretti sanitari – racconta -. Vivo a Udine da 10 anni, ma devo dire che nelle politiche di integrazione si sono fatti grandi passi indietro». Dello stesso avviso è Fatima Diop, senegalese anche lei, che vive e lavora a Treviso da 14 anni come cameriera ai piani. «Per strada noto molto razzismo sia nei gesti sia nelle parole. Gli italiani devono capire che gli immigrati rappresentano una ricchezza». Ed è proprio questo il punto anche per Marhian Bissila, studente congolese all’università di Udine: «La situazione degli immigrati è molto deludente. L’integrazione invece deve esserci pure nei fatti». Ahmed Musa, sudanese a Udine da 8 anni, ha perso il lavoro da poco e sconsolato afferma: «Sono un carpentiere con molta esperienza, ma quando porto il curriculum non mi chiamano. Tendono ad assumere italiani, anche senza capacità. Non è più come una volta». Secondo Ahmed, il vento è cambiato. A suo avviso ci sono poche vie d’uscita.
Renato Schinko