OPICINA in “rivolta” contro la centrale a biomasse

Dal Piccolo del 03/07/12

Centrale a biomasse Opicina in rivolta contro l’impianto

 

di Fabio Dorigo Altro che biomasse. Il progetto della centrale di Opicina produce massa critica. E contraria. La folla che si è ritrovato l’altra sera nella sala della Banca di Credito cooperativo del Carso non ha dubbi sulla insostenibilità del megaimpianto che dovrebbe sorgere nell’area delle ex Officine meccaniche e ferroviarie Laboranti. «Non s’ha da fare. Siamo pronti a stenderci davanti alle ruspe» chiarisce subito dal palco Dario Vremec battagliero cittadino che ha all’attivo la vittoria contro l’antenna di via dei Salici nei pressi dell’asilo e della scuola (5mila le firme raccolte all’epoca). La bocciatura del progetto presentato in Regione dalla società Investimenti industriali Triestini è totale e senza appello. Una petizione sta già raccogliendo migliaia di firme tra la gente del Carso e non solo. Nel testo la centrale a biomassa assume il nome di “ecomostro” con i due camini altri 35 metri e i 39 serbatoio di olio combustibile previsti- L’Associazione per la difesa di Opicina, che ha organizzato l’incontro pubblico, ha depositato venerdì mattina 23 osservazioni agli organismi regionali con la richiesta di applicazione alla procedura della Via (valutazione di impatto ambientale). La stessa richiesta avanzata dal Comune di Trieste per iniziativa dell’assessore all’Ambiente Umberto Laureni. Un’arma, quella della Via, che dovrebbe seppellire sul nascere il progetto da 50 milioni di euro di investimenti. «Un dossier inattaccabile» certifica l’avvocato Roberto Corbo, residente a Opicina. Le osservazioni, illustrate dall’ingegnere Stefano Patuanelli (consigliere comunale del Movimento 5 Stelle), sono un malloppo di oltre 500 fogli, dallo spessore di 5 centimetri. Dal punto di vista tecnico e ambientale non c’è nulla da salvare. «Questo progetto – spiega Patuanelli – cela un impianto che di sostenibile ha ben poco». L’argomento forte sono le emissioni di CO2. La centrale a biomassa non produce anidride carbonica. Vanta un ciclo a emissioni zero. Solo che brucia olio di palma prodotto in una piantagione della Costa d’Avorio grande come la metà della provincia di Trieste (10mila ettari). «Il trasporto via mare e poi via terra annulla l’effetto delle emissioni zero» spiega Patuanelli. Ma non basta. L’agenzia americana Epa, nel febbraio scorso, ha rimosso l’olio di palma dalla lista dei combustibili ecologici. «Sono impianti che vanno di modo – ha spiegato Luciano Zorzenone,presidente del Cordicom (coordinamento dei comitati del Fvg) – grazie agli incentivi statali che poi paghiamo noi in bolletta». Una beffa consumato sulla promessa dei 100 posti di lavoro per la costruzione della centra e dei 25 per la sua gestione. «Raccontano balle» spiega Lino Santoro di Lega ambiente che lancia l’allarme sull’aspetto neocoloniale del progetto. «Per le piantagioni di palma da cocco sono in corso una deforestazione selvaggia con relativo aumento di CO2 nei paesi di origine». «Ma chi si nasconde dietro la società Investimenti industriali triestini?» si chiede dal pubblico. «Un gruppo di Napoli con sede a Roma in viale Buozzi che sta facendo tutta questa operazione senza metterci una lira. Sul terreno, inoltre, ci sono ipoteche giudiziarie per 4 milioni di euro» assicura l’avvocato. Il fronte dei contrari sta arruolano anche diversi consiglieri comunali. Mauro Ravalico (Pd) è «molto perplesso e preoccupato». «Non sono d’accordo – dice – sul fatto di bruciare olio di palma africano trasportato per migliaia di chilometri via mare e ferrovia». Marino Sossi (Sel), invece, ha già predisposto una mozione urgente al consiglio comunale. Non ci sono però solo preoccupazioni per la salute e l’ambiente. C’è anche un rischio meno nobile. Immobiliare. «Con la centrale le case di Opicina varranno zero» dice l’avvocato Corbo mentre mima il numero con la mano sinistra. Zero. Come le emissioni di CO2 della centrale a biomasse.