TRIESTE: 1° MARZO sciopero dei migranti

1° MARZO GIORNATA DI SCIOPERO E

MOBILITAZIONE

 

In questo paese, come in tutta Europa, i migranti costituiscono una parte sempre più importante, numericamente e dal punto di vista produttivo, della forza lavoro.

La legislazione sull’immigrazione è quindi anche parte della legislazione sul lavoro. Preparata dalla Turco-Napolitano, la legge Bossi-Fini con il “contratto di soggiorno” per lavoro ha creato – accanto alle molte figure della precarietà contrattuale – lavoratori e lavoratrici altamente ricattabili perché precari anche dal punto di vista del diritto di restare: chi perde il lavoro perde anche il permesso di soggiorno. Questo meccanismo perverso, oltre a condannare centinaia di migliaia di persone ad un’esistenza in bilico, innesca una dinamica di concorrenza al ribasso che certamente non avvantaggia nemmeno i lavoratori italiani.
La crisi è generale e non fa differenze per il colore della pelle. Tutti ne pagano il prezzo, migranti e italiani. Ma i migranti, oltre a essere esclusi dalla maggior parte degli ammortizzatori sociali, possono essere espulsi, e il razzismo istituzionalizzato serve a dividere i lavoratori, facendo credere ad alcuni di essere “protetti” perché altri sono buttati fuori dal lavoro e dal paese (mentre gli imprenditori portano al di là dei confini i loro capitali per sfruttare il lavoro migrante “in casa”). Il razzismo istituzionale indica dei nemici verso il basso per chiudere ogni rivendicazione verso l’alto.

In quest’ottica, i Centri di Identificazione ed Espulsione (ex CPT) sono una valvola di sfogo per il mercato del lavoro: quando la domanda si abbassa, la forza lavoro migrante in eccesso viene resa clandestina (perdere il lavoro significa perdere il permesso di soggiorno) ed espulsa. L’aumento dei tempi di detenzione si spiega con la crisi: i migranti vengono “espulsi” anche per sei mesi all’interno del paese, prima di essere eventualmente rimandati oltre confine.
Così si moltiplicano figure di lavoro informale svincolate da ogni tutela contrattuale e giuridica. Il lavoro informale dei migranti è il modello di una progressiva informalizzazione di tutto il lavoro che risponde sempre più solo alla norma dei rapporti di forza tra padroni e lavoratori. Per questo la maggior parte delle espulsioni non viene eseguita, ma produce solo uomini e donne ancora più ricattabili.
Il lavoro domestico e di cura delle donne migranti è il momento più evidente di questo processo. Esso mostra, e la sanatoria-truffa destinata alle sole badanti lo conferma, che il sistema di produzione e riproduzione sociale non può prescindere dal lavoro migrante; che la divisione sessuale del lavoro che demanda alle donne il lavoro domestico e di cura è istituzionalizzata e salarizzata. Questa dinamica inoltre fa si che sempre più siano le famiglie a farsi carico diretto di quei compiti un tempo propri dello stato sociale, assorbendo così anni di tagli indiscriminati ai servizi.
L’irrigidimento dei criteri per l’ottenimento del ricongiungimento famigliare e della cittadinanza e anche semplicemente i vincoli per l’idoneità alloggiativa hanno come effetto quello di autorizzare alla residenza in Italia solo lavoratori o lavoratrici isolate, obbligati a una permanenza temporanea. Chi resta deve sapere che il futuro è segnato: i figli devono accettare limiti razzisti per l’ingresso nella scuola che impediscono di uscire dalla condizione operaia, i lavoratori non avranno la pensione. Di fronte alla crisi, la strategia del governo è quella di ridurre al minimo i costi sociali del lavoro. Una strategia che spiega perché, in caso di espulsione o se scelgono di lasciare l’Italia, i migranti non possono ritirare i contributi versati. I migranti anticipano un attacco complessivo agli ultimi residui di welfare che riguarda tutti i lavoratori.
La crisi prepara una ristrutturazione complessiva dei rapporti di lavoro. Il suo prezzo non è solo quello che i lavoratori pagano oggi con licenziamenti e cassa integrazione, ma quello di un ulteriore attacco alla loro capacità di organizzazione e del loro potere. Gran parte di questa partita si gioca, oggi, sulla pelle dei migranti.

Per questo è necessaria una risposta forte, contro il razzismo e la legge Bossi-Fini:

uno sciopero del lavoro migrante come sciopero di tutti i lavoratori, italiani e migranti.

 

Comitato triestino per lo sciopero del 1° marzo

 

Per contatti:

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