SUICIDI DI STATO: rassegna stampa sul presidio per Alina

Dal Piccolo del 16/05/12

Presidio in piazza per Alina In arrivo anche altri “avvisi”

Un presidio alla settimana e altri indagati in arrivo. La morte della cittadina ucraina, Alina Bonar Diachuk, di 32 anni, che il 16 aprile scorso si è tolta la vita in una stanza del commissariato di Villa Opicina, rischia di travolgere la Questura di Trieste. Un indagato c’è già, ed è il vicequestore Carlo Baffi, responsabile dell’Ufficio immigrazione. Ieri oltre 200 persone, in piazza della Borsa, hanno chiesto la sua testa al questore Giuseppe Padulano. Anzi la sua “epurazione” vista «la targhetta del Ventennio (“Ufficio epurazioni”) con tanto di effigie del duce riesumata per il suo ufficio» come ricorda l’ex consigliere regionale Alessandro Metz. Le indagini intanto proseguono e potrebbero allargarsi. Il capo della Procura di Trieste, Michele Dalla Costa, parlando della vicenda con l’Adnkronos afferma che «ci sono altre persone sulle quali si è appuntata l’attenzione della Procura». In altre parole, tutto fa pensare che non possa essere attribuita solo all’”eccentrico” Baffi (“in ufficio e nell’abitazione è stata rivenuta un’autentica collezione di memorabilia del Ventennio fascista compreso materiale antisemita”) la responsabilità di quanto avvenuto nella cella del commissariato di Opicina. Alina, che aveva appena scontato 10 mesi di carcere per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, si è tolta la vita usando il cordino della felpa, quando era trattenuta, senza alcun provvedimento della magistratura, nel commissariato dell’altipiano. Un’agonia di quaranta minuti documentata da una telecamera di sicurezza. Per questo motivo alcuni lo definiscono «un suicidio assistito». «Un omicido progettato» lo chiama senza troppi giri di parole il consigliere regionale di Rifondazione Comunista Roberto Antonaz. L’ipotesi di reato per la quale è indagato Baffi è sequestro di persona e omicidio colposo. Le indagini condotte dal pm Massimo De Bortoli devono verificare se in effetti la Diachuk fosse trattenuta in Commissariato senza alcun titolo, se fosse chiusa a chiave dentro una stanza e se si sia trattato di un caso isolato, o, «come pare – conferma il procuratore capo – ci siano stati altri casi di stranieri trattenuti a Opicina senza alcun titolo. Stiamo valutando decine di posizioni, a partire dal secondo semestre del 2011, per verificare se quello dell’ucraina sia stato un caso isolato o meno», conferma Dalla Costa. Si parla di altri 49 casi. Il commissariato di Villa Opicina usato praticamente come un Cie clandestino. Parallelo a quello di Gradisca. E, ieri, in piazza della Borsa, in zona Questura, si è svolto il primo sit-in “Libertà e giustizia per Alina” contro la procedura usata dalla Questura nel trattenere gli stranieri da espellere, nel commissariato di Opicina. L’iniziativa è stata indetta da varie organizzazioni tra le quali Occupy Trieste, centri sociali, Arci, Unione degli studenti, Fiom e a cui hanno aderito anche Rifondazine comunista e Sel. «Un presidio di dignità da parte di una città che non accettà la banalità del male» spiega Luca Tornatore, uno dei leader di Occupy Trieste, citando Hannah Arendt. «Noi restiamo umani». Il presidio contro la Questura si è svolto con parole pesanti ma in assoluta tranquillità sorvegliato a vista da alcuni carabinieri. La pena del contrappasso. «In questa città c’è una malattia: i giustizieri della polizia. Migranti liberi, fascisti in gabbia» recita uno degli striscioni steso in piazza della Borsa in piazza della Borsa. «In Questura stanno succedendo delle cose indegne. Indecenti. Adesso si scopre che fanno i giustizieri della notte e addobbano le stanze con i poster del mascellone» aggiunge Tornatore, mentre Metz alza il tiro: «Baffi lavorava nella clandestinità? Nessuno si è mai accorto di nulla? Padulano deve rimuoverlo subito. Altrimenti se ne deve andare anche Padulano». E, finché non succede qualcosa, promettono un presidio alla settimana. Ogni martedì alle 17 in piazza della Borsa. «Non si può fare finta di niente. La città non può fare finta di niente». (fa.do.)