Il Piccolo, 07 febbraio 2010

BLITZ NOTTURNO DEI CARABINIERI IN DECINE DI ABITAZIONI
Presi in casa e portati ai test anti-droga  
Minorenni accompagnati dai genitori. Sei denunciati per cessione, 21 segnalati per consumo

di LAURA BORSANI

Maxi-operazione antidroga sull’asse Grado-Monfalcone. Ventisette giovani dai 17 ai 23 anni sottoposti a controlli: sei sono stati denunciati in stato di libertà per cessione di stupefacenti, mentre tutti sono stati segnalati alla Prefettura di Gorizia quali assuntori.
Una mobilitazione finalizzata a contrastare il fenomeno del consumo di droga tra i giovani e i giovanissimi. Di fatto la prima di vasta portata, caratterizzata soprattutto da finalità educative, con l’obiettivo di disincentivare i ragazzi all’uso delle sostanze illecite e a mettere sul ”chi va là” le famiglie. Decine di ragazzi sono stati sottoposti al test delle urine. I minorenni accompagnati al Pronto soccorso di San Polo dai genitori. È stata un’operazione su larga scala. Prima dell’alba sono state perquisite, su ordine di esecuzione emesso dal Tribunale dei minori di Trieste e dal Tribunale di Gorizia, almeno trenta abitazioni, tra l’Isola, la città dei cantieri, toccando anche i comuni limitrofi come Ronchi dei Legionari, San Canzian d’Isonzo, Doberdò del Lago e Udine. Sono stati quindi controllati ventisette giovani e giovanissimi, tra cui otto minorenni. L’intervento ha anche portato al sequestro di numerosi quantitativi di stupefacente, piccoli contingenti. Droghe leggere, hashish e marijuana. Complessivamente, sono stati rinvenuti 4 spinelli, 5,5 grammi di hashish, 14 semi e quattro piante di marijuana, 3,46 grammi di marijuana e altri 142 grammi di piante di marijuana essiccate, 16 semi di canapa indiana, 2 pasticche di ecstasy. Rinvenuto e sequestrato anche materiale legato al consumo della droga, in particolare 3 bilancini di precisione.
L’operazione è scattata alle 3 e si è conclusa attorno alle 16. Un monitoraggio che, partito da Grado, da dove già alcuni mesi fa avevano preso il via le indagini, si è poi allargato al Monfalconese. Uno schieramento di uomini e mezzi imponente, che ha coinvolto un’ottantina di militari di diverse stazioni dei carabinieri e una trentina di automezzi, con unità cinofile, un cane anti-droga in dotazione alla Guardia di finanza di Gorizia. Mobilitato anche il personale femminile della Polizia municipale di Grado. Una geografia investigativa piuttosto ampia, per la quale è pertanto intervenuto il coordinamento logistico della Compagnia dei carabinieri di Monfalcone, assieme al reparto operativo del Comando provinciale di Gorzia, alle Compagnie del capoluogo isontino e di Gradisca d’Isonzo. Il tutto rientra nell’ambito di un’indagine svolta tra l’ottobre scorso e gennaio 2010. Per la prima volta le verifiche su larga scala hanno compreso anche gli accertamenti sanitari: ieri mattina, a partire dalle 8, all’ospedale di San Polo sono affluiti numerosi giovani, sottoposti all’esame delle urine. I maggiorenni hanno firmato l’apposito modulo ai fini del consenso nel sottoporsi al test sanitario, mentre i minorenni sono stati accompagnati dai genitori. L’attività investigativa è in corso valutando le posizioni degli interessati.
L’indagine ha preso il via dalla stazione dei carabinieri di Grado, dove è nata l’attività informativa. È stata prima interessata, questa estate, la zona costiera, tra Grado e la frazione agricola di Fossalon. L’attività di contrasto alla droga si è espansa subito coinvolgendo le altre stazioni dei territori limitrofi, approdando a Monfalcone e nel mandamento.
Un controllo definito a carattere ”preventivo”. L’operazione, infatti, non si connota tanto dai quantitativi di stupefacente rinvenuti durante le perquisizioni nelle abitazioni, numerosi ma comunque di limitate proporzioni, quanto piuttosto dal valore dell’intervento esteso ad ampio raggio nel territorio. L’azione anti-droga è stata definita un segnale volendo incidere nella consapevolezza dei giovani, ai fini del recupero di un sano stile di vita. Una sorta anche di raccomandazione alle famiglie, sollecitate a mantenere l’attenzione verso i propri figli. È stato infatti rilevato lo spessore sociale dell’operazione, nel contrastare il fenomeno del consumo di stupefacenti tra i ragazzi nel mandamento.

«Molte famiglie ignoravano che il figlio fosse nel giro»  
Il colonnello Zuliani: «L’operazione è un utile campanello d’allarme»

È proprio sull’aspetto sociale che, dopo aver fornito i dati dell’importante operazione nata l’estate scorsa a Grado (sul totale delle perquisizioni che vedono coinvolte complessivamente solo due ragazze, ben 13 hanno riguardato l’Isola del Sole), il comandante provinciale dei carabinieri, Roberto Zuliani, si è soffermato. Ha fatto riferimenti e considerazioni altamente significative, soffermandosi in ogni caso sul fattore sociale e di prevenzione all’interno del quale è maturata l’operazione dei carabinieri eseguita ieri mattina.
«Tante famiglie – ha spiegato il comandante Zuliani – non immaginavano nemmeno che i figli consumassero droga, seppure leggera. È sbagliato – ha aggiunto il colonnello -, significa che i ragazzi hanno già intrapreso la strada sbagliata. Può essere una vita rovinata in partenza. Per i genitori, la nostra operazione di forte prevenzione deve essere un bel campanello d’allarme».
Sempre secondo il colonnello Zuliani, il loro intervento può contribuire a far uscire i giovani dalla pericolosa realtà legata agli stupefacenti, per orientarli verso stili di vita sani e più consoni.
Ma un ruolo fondamentale devono assumerlo comunque le famiglie, seppure anche in questa occasione, come del resto è accaduto anche in passato, non tutti reagiscono nello stesso modo. Metà dei genitori è rimasta sorpresa, ha rimproverato i figli assicurando un pronto interessamento. Un’altra metà pare, invece, si sia addirittura infastidita dall’arrivo a casa dei carabinieri quando ancora era buio.
L’azione messa in campo dalle forze dell’ordine, pertanto, assume una valenza sociale e educativa, volta proprio a contrastare il fenomeno dell’uso di stupefacenti, coinvolgendo gli stessi ragazzi a prendere coscienza dei comportamenti errati. (a.b.)

PARLA IL LEGALE  
«Accertamenti possibili solo se c’è il consenso»

Quanto avvenuto ieri mattina all’ospedale di San Polo pone una domanda: è lecito sottoporre chiunque, e soprattutto dei giovanissimi, a controlli sanitari per verificare se abbiano consumato sostanze stupefacenti? Lo è qualora ci sia il consenso da parte dell’interessato o, nel caso di un minorenne, quello dei genitori. A spiegarlo è l’avvocato monfalconese Riccardo Cattarini il quale chiarisce che l’esecuzione dell’esame sanitario è un atto, in linea di principio, ”non dovuto”. E che quindi il soggetto in questione, soprattutto se si tratta di un controllo legato all’eventuale consumo di sostanze stupefacenti, è libero di rifiutare il test sanitario.
«Per accertamenti di questo tipo – osserva il legale – è necessario il consenso che, quando si tratta di ragazzi minorenni, chiama in causa l’autorizzazione da parte dei genitori». E queste regole, secondo quanto affermato dal responsabile del Pronto soccorso, Claudio Simeoni, sono state rispettate con scrupolo sia dai carabinieri che dal personale sanitario.
«Va precisato comunque – precisa ancora il legale monfalconese – che il consumo di stupefacenti, qualora accertato anche attraverso un test sanitario, non costituisce di per sè un reato, presupponendo solo una semplice segnalazione a carico dell’assuntore».

L’attesa tra lacrime e sguardi bassi  
Il Pronto soccorso blindato dalle ”gazzelle” per tutta la mattina

Un via vai di ”gazzelle” continuo. A ondate, all’ospedale di San Polo. Quasi blindato per tutta la mattinata di ieri dalle pattuglie concentratesi al Pronto soccorso. Tra i pazienti in sala d’attesa, passavano giovani e ragazzini. Appena maggiorenni accompagnati anche dalla fidanzatina. E i minorenni seguiti dai genitori. C’è chi, tra gli utenti in attesa, li ha visti piangere.
La mobilitazione ha avuto inizio qualche ora dopo l’alba. Verso le 8 sono arrivate le prime pattuglie dei carabinieri. I ragazzi hanno così infilato l’ingresso del Pronto soccorso, dove sono stati sottoposti all’esame delle urine. Verso le 10.30 erano stati sottoposti al test sanitario una decina di giovani. Ma non era finita. Era solo un primo round. Gli operatori sanitari infatti erano stati preavvertiti: in arrivo c’erano altri giovani, alcune decine, da esaminare. Un afflusso, dunque, a scaglioni. «Sono arrivati a casa e ora siamo venuti in ospedale – ha detto una ragazzina che attendeva il suo fidanzato mentre stava eseguendo l’esame -. Non credo che tutti abbiano fatto consumo di droga. Magari sono stati coinvolti semplicemente attraverso i colloqui intercorsi con i cellulari».
I risultati degli esami non sono immediati, bisognerà attendere per avere riscontri precisi. Il test delle urine permette di verificare la presenza di tracce di stupefacente che, per gli oppiacei, permane nel soggetto consumatore anche per alcuni mesi.
Mattinata insolita, dunque, al Pronto soccorso, tra gli sguardi quantomeno incuriositi degli utenti, richiamati dal via vai delle forze dell’ordine. Tutto comunque si è svolto con estrema tranquillità. Sguardi preoccupati, ma anche i volti sereni di chi si sentiva ”a posto”. Uno scenario che, comunque, non fosse altro che per l’evidente presenza delle ”gazzelle” e dei militari, non è passato inosservato. All’ospedale, tra gli operatori sanitari, c’era chi osservava la particolare portata di questo ”monitoraggio sanitario”.
L’indagine anti-droga ha tratteggiato i comportamenti dei giovani, compagnie distinte ma che si intersecano, anche attraverso amici comuni. L’obiettivo, comunque, è chiaro: l’operazione messa in campo dai carabinieri intende lanciare uno specifico messaggio ai giovani e ai loro genitori. La priorità è dunque quella di arginare il fenomeno del consumo tra i giovani e i giovanissimi, ponendo l’accento proprio sulla responsabilizzazione sociale. Diventa importante, pertanto, la presa di coscienza da parte dei ragazzi, abituati oggi a gestire un’autonomia decisamente più ampia rispetto al passato. (l.bo.)


Il Piccolo, 08 febbraio 2010

ASSESSORE ALLE POLITICHE SOCIALI
Morsolin: «Reprimere con i ragazzi non serve, va fatta prevenzione»

«Questo tipo di operazione svolta dai carabinieri è più basato sulla repressione e sulla paura piuttosto che sui valori di condivisione della prevenzione, perseguiti invece dall’amministrazione comunale». Sono le parole dell’assessore alle Politiche sociali e giovanili Cristiana Morsolin (Rc), la quale si «mette nei panni di questi ragazzi che sono stati prelevati dalle loro case per essere condotti dalle forze dell’ordine in ospedale a fare gli esami».
«Non dev’essere stata una bella esperienza – commenta ancora l’amministratrice – ho letto che c’era anche chi piangeva. Fermo restando il fatto che si debba mantenere un atteggiamento di rigore estremo verso chi spaccia e trae profitto dalla diffusione degli stupefacenti, ritengo che la vera prevenzione si compia cercando di far capire i danni enormi che la droga può produrre nell’individuo. Perciò non penso che la repressione sia un’impostazione fruttuosa, in grado di arrecare, sul lungo termine, risultati significativi». «Bisogna – conclude Cristiana Morsolin – responsabilizzare i ragazzi, per fare in modo che la loro scelta di non utilizzare droghe sia consapevole». In quest’ottica, stando sempre all’assessore, il Comune ha negli anni portato avanti dei progetti di sensibilizzazione alla lotta contro le tossicodipendenze e l’abuso di alcol in sinsergia col Sert e altre strutture. (t.c.)

LA MAXI-RETATA DEI CARABINIERI NEL MONFALCONESE E A GRADO
Allarme droga, il ”fumo” circola già alle Medie
Il Sert: «A 13 anni i primi contatti con la cannabis». Spesso i genitori all’oscuro di tutto

LE REAZIONI
Per il vicesindaco Silvia Altran, serve una collaborazione a tutto campo per debellare un fenomeno sicuramente preoccupante.
Per l’assessore alle Politiche giovanili Cristiana Morsolin, non è con la repressione che si risolve la criticità. Serve piuttosto molta prevenzione.
Il Sert ammette che il fenomeno-droga sta interessando in città sempre più spesso ragazzi delle scuole medie, cosa che non accadeva fino a qualche anno fa.

L’OPERAZIONE
Perquisite nella notte tra venerdì e sabato scorsi trenta abitazioni tra Grado, Monfalcone, Ronchi dei Legionari, San Canzian d’Isonzo, Doberdò del Lago e Udine.
Sottoposti a test anti-droga all’ospedale di San Polo una trentina di ragazzi (due le ragazze) tra i 17 e i 23 anni.
Sei sono stati i giovani denunciati con l’accusa di cessione di sostanze stupefacenti, 21 quelli segnalati alla Prefettura di Gorizia come consumatori.

I CARABINIERI
«Numerose famiglie non sospettavano nemmeno che i figli facessero uso di droghe leggere. È grave, significa che i ragazzi hanno già intrapreso la strada sbagliata».
«Per queste famiglie, la nostra operazione deve rappresentare un campanello d’allarme per affrontare in tempo il problema».
«Solo metà delle famiglie, al nostro arrivo, ha rimproverato i figli, assicurando un immediato interessamento. Altri genitori si sono dimostrati addirittura infastiditi».

di LAURA BORSANI

Perquisizioni in trenta abitazioni del Monfalconese e di Grado, sei ragazzi denunciati per cessione di hashish e marijuana, altri 21 segnalati alla Prefettura dopo essere stati sottoposti a test clinici in ospedale. Tutta gente tra i 16 e i 22 anni. Ha fatto clamore in città l’operazione messa a segno dai carabinieri nella notte tra venerdì e sabato, che ha fatto emergere uno spaccato preoccupante della realtà monfalconese, quello della diffusione sempre più ampia delle droghe leggere. Un’operazione che, più che intercettare i canali della droga, ha voluto portare alla luce una situazione che, nella maggior parte dei casi, era sconosciuta anche alle famiglie direttamente interessate. Ma non al Sert dove queste dinamiche sono ben note e dove si conferma che il consumo di stupefacenti anche in città raggiunge fasce d’età sempre più basse. Già a partire dai 13 anni avviene il contatto con la droga. Fino a qualche anno fa la prima esperienza riguardava i sedicenni, adolescenti delle scuole superiori. Oggi tutto s’è spostato coinvolgendo nel fenomeno del consumo anche i ragazzini di terza media. Quasi una generazione a ritroso che oltrepassa la soglia della prima fumata.
È questo il quadro che tratteggia il responsabile del Sert di Monfalcone, Andrea Fiore, all’indomani dell’indagine anti-droga condotta dai carabinieri. «Purtroppo – osserva – l’operazione eseguita dalle forze dell’ordine conferma che i minorenni sono raggiunti sempre più dalle sostanze stupefacenti. È un dato preoccupante e costante. Seppure nel nostro territorio il fenomeno non raggiunga i livelli di guardia di altre città italiane, qui non siamo abituati a un aumento di situazioni e circostanze impensabili fino a qualche anno fa». Sostanze illegali, la cosiddetta cannabis, fanno breccia nella realtà della preadolescenza. Fiore lo considera anche lo specchio di una società rapidamente cambiata. Sono cambiati gli stili di vita, i ritmi della quotidianità, i rapporti generazionali. «Oggi – spiega Fiore – ci sono tredicenni che iniziano già a muoversi in ambienti che prima erano appannaggio dei ragazzi a partire dai 16 anni. È frutto anche della maggiore autonomia concessa dagli adulti. Frequentano le discoteche, si riuniscono la sera in piazza, godono insomma di una libertà, ma anche di una privacy, che solo fino a pochi anni fa veniva accordata ad un’età superiore. È naturale, pertanto, che i giovanissimi possano entrare prima in contatto con le sostanze stupefacenti. Si è spostata la disponibilità economica data ai propri figli. È normale possedere il cellulare. Ma beneficiano anche di una grande elasticità negli orari, oltre a gestire numerosi impegni. Fino a frequentare compagnie di giovani più adulti».
Non solo. È cambiata l’informazione. I giovanissimi conoscono l’esistenza della droga: «Pur in modo distorto – osserva il responsabile del Sert – hanno cognizione di causa sugli stupefacenti. Non siamo più ai tempi in cui il ragazzino delle medie viene avvicinato fuori dalla scuola con la caramella e non capisce di che si tratta. La droga la conoscono e ne vengono in contatto proprio durante le frequentazioni amicali. Di fatto, fanno già una scelta errata, ma in qualche modo consapevole». E i genitori? Cosa sanno dei propri figli? Si accorgono che la droga può essere entrata in casa? «Spesso non sono a conoscenza di quanto accade. Oppure, se ne hanno sentore, tendono a rimuovere l’eventuale problema. La vita è peraltro molto serrata. I giovani sono presi da innumerevoli impegni. Per loro il computer non ha segreti, ma i genitori ne vengono tenuti a parte».
Famiglie, insomma, alle prese con un dialogo difficile. A volte inesistente. Incomprensibile: «I genitori – continua Fiore – si trovano di fronte a figli adulti sotto il profilo dell’autonomia che ritengono invece ancora bambini, indifesi ed economicamente dipendenti. Si è separata la linea dello sviluppo psico-fisico, molto più accelerato, rispetto all’autonomia lavorativa, che invece si prolunga nel tempo».
Succede quindi che gli adulti continuano a considerare i figli piccoli e impreparati alla vita, mentre poi si accorgono che hanno assunto comportamenti adulti. «Per questo – aggiunge Fiore – i genitori, quando scoprono che il proprio figlio fa uso di stupefacenti, vanno in crisi». Ma Fiore evidenzia un altro aspetto: «Gli adulti hanno maggiore capacità di reagire e di recuperare i rapporti. Dopo lo sconcerto e il trauma iniziale, interviene la comprensione e la volontà di capire. Constatiamo, infatti, un aumento degli adulti che si riavvicinano ai nostri servizi, consapevoli di non avere gli strumenti per gestire fino in fondo queste situazioni, ma spinti a dare loro comunque le risposte necessarie per aiutarli a ripristinare uno stile di vita sano ed equilibrato».

IL VICESINDACO ALTRAN: «COLLABORAZIONE NECESSARIA PER FRONTEGGIARE IL PROBLEMA»
L’indagine non è conclusa, altri accertamenti

Le indagini, sul fronte della detenzione di sostanze stupefacenti da parte di giovani, anche minorenni, nel Monfalconese non finisce qui. I carabinieri, infatti, continueranno a portare avanti le attività investigative sul territorio, attualmente in corso di evoluzione per valutare le posizioni dei singoli interessati. Questo tra lo sconcerto dei genitori, che nella maggior parte dei casi sono apparsi, agli operatori sanitari incaricati sabato mattina di svolgere i test di accertamento al San Polo, all’oscuro di tutto.
E proprio lo sconcerto delle famiglie non può non sollevare interrogativi sulle frequentazioni di molti, troppi, giovani che pur avendo apparentemente una vita irreprensibile, un ciclo di studi regolare, finiscono per scivolare nel baratro della droga. Possibile non accorgersi che il figlio ha iniziato a uscire con ”cattive compagnie”? Non notare segnali di cambiamento nell’umore? Di devianza dalle solite abitudini? Evidentemente sì, è possibile. Anche perché talvolta, nell’età critica dell’adolescenza, i giovani finiscono per respingere le comunicazioni con la famiglia.
«La chiave per affrontare questo tipo di problematiche è la collaborazione – spiega il vicesindaco e assessore all’Istruzione Silvia Altran -: è importante far emergere le situazioni a rischio, poiché i mercanti della droga cercano in ogni modo di insinuarsi laddove ci sono tanti giovani. E molto spesso è difficile, per un genitore, capire se il figlio sta frequentando qualche balordo». Per il vicesindaco «il massimo che si può fare è non far finta di non vedere». Il Comune, in tal senso, ha messo a punto una serie di progetti tesi a «intensificare la collaborazione tra strutture per fare prevenzione, pur non avendo l’ente locale un mandato specifico per una tale problematica, che compete invece all’Azienda sanitaria e al Sert». «L’importante – conclude – è responsabilizzare i ragazzi, un po’ come avviene anche con le lezioni dei patentini, per far capire che ogni azione ha delle conseguenze e che non si è più dei bambini. Non credo che a Monfalcone vi siano delle realtà particolarmente gravi: qui la droga si insinua esattamente come avviene nel resto del mondo. Putroppo non facciamo eccezione, ma nel nostro piccolo dobbiamo continuare a lottare contro la droga, sollevando in ogni sede possibile la criticità». (ti. ca.)


Il Piccolo, 10 febbraio 2010

DROGA LE REAZIONI ALLA DELIBERA DELLA CAMERA PENALE DI GORIZIA 
Maxi-retata, la Procura difende i carabinieri 
Caterina Ajello: «È nelle funzioni delle forze dell’ordine eseguire interventi di prevenzione»

di TIZIANA CARPINELLI

«La prevenzione rientra tra le funzioni esercitate dalle forze dell’ordine: lo sancisce il Codice di procedura penale». All’indomani della bufera sollevata dalla delibera emessa dal presidente della Camera penale di Gorizia Riccardo Cattarini, attraverso cui gli avvocati isontini hanno contestato nel metodo e nelle finalità l’operazione a contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti condotta da un’ottantina di carabinieri all’alba di sabato scorso tra Monfalcone e Grado, Caterina Ajello, procuratore capo del Tribunale di Gorizia, mette i puntini sulle ”i”. E specifica che uno dei compiti demandati agli organi di polizia giudiziaria è non solo quello di prendere notizia dei reati e di individuarne gli autori, ma anche di impedire che di ulteriori ne vengano commessi. Insomma, portando a galla il consumo di droga da parte di giovani e giovanissimi nel mandamento, si sarebbe comunque impedito che questi proseguissero nella strada intrapresa. «In cancelleria non sono ancora stati depositati i verbali delle perquisizioni – esordisce Ajello – quindi non posso esprimere giudizi su situazioni che oggettivamente non conosco. Mi risulta comunque che tre quarti delle perquisizioni svolte dai carabinieri abbiano avuto esito positivo».
Il numero uno della Procura della Repubblica sottolinea che «le forze dell’ordine hanno anche la funzione di prevenire la commissione di ulteriori reati, così come prescritto all’articolo 55 del Codice di procedura penale». Quanto poi alla critica sollevata dai penalisti circa le modalità perseguite attraverso gli accertamenti sanitari svolti al San Polo per stabilire o escludere il consumo di droga da parte delle persone finite della rete dei carabinieri, il procuratore capo commenta: «Mi risulta che i test possano essere eseguiti solo previo assenso del soggetto, dunque tramite apposito modulo». «Francamente – aggiunge – io non vedo nulla di anomalo in questa operazione. I carabinieri hanno proceduto alle perquisizioni sulla base di provvedimenti fissati da magistrati, ovvero di precisi decreti emessi dalla Procura della Repubblica di Gorizia e dal Tribunale dei minori di Trieste». Hanno eseguito gli ordini. «Putroppo – sostiene Ajello – quello della droga non è un fenomeno ”stoppabile”, anzi pare radicato e attraversa la società. Non è una realtà, dunque, che può essere eliminata: le operazioni di questo tipo servono come deterrente ad altre persone, per capire che è opportuno desistere dal consumo e spaccio di droga».
Il procuratore capo di Gorizia, pur non avendo ancora ricevuto dalla Camera penale di Gorizia la lettera in questione, rivolta tra gli altri anche al ministro dell’Interno Roberto Maroni, nega che vi sia stata la volontà di colpire qualcuno o qualcosa (i penalisti avevano invece contestato le finalità della maxi-retata affermando che a essere perseguiti erano stati, nella fattispecie, i consumatori di droghe leggere piuttosto che i trafficanti di stupefacenti). «Che il fenomeno della droga non sia circoscritto a Gorizia o a Monfalcone ma interessi trasversalmente l’intero Paese è evidente – conclude Ajello -: basta andare al Sert, poi, per rendersi conto della portata di questa triste realtà».

Luise: «L’operazione è servita perché l’emergenza è reale»

Non sono mancate le reazioni politiche sulla maxi-retata che ha investito il mandamento. «Condivisibile – esordisce Michele Luise di Obiettivo Monfalcone – la presa di posizione della Camera penale, soprattutto laddove dice che l’azione ha fatto emergere forme di disagio sociale che purtroppo colpiscono anche il nostro territorio e che dunque la soluzione va ricercata in interventi di carattere educativo-assistenziale e non punitivo». «A puntino anche l’intervento di don Fulvio – prosegue – quando dice che si deve lavorare sulla famiglia. Però, se molto dipende dai genitori, è da dirsi che anche la nostra realtà non fa ben sperare: incertezza economica, precariato e divorzi non sono certo il terreno più adatto per consentire la crescita di bambini sufficientemente equipaggiati ad affrontare la vita». «La scuola – conclude – deve fare la sua parte: il liceale intervistato ieri dice, fra le altre cose, che non tutti sanno che ogni tipo di stupefacente fa male e che le droghe leggere si possono consumare senza effetti collaterali. Sarebbe allora un errore concentrarsi sugli scarsi esiti dell’operazione, se si fa riferimento unicamente alle sostanze: la retata risulterà comunque utile se avrà portato all’attenzione il fatto che anche qui esiste un’emergenza». Di tutt’altro tono, invece, l’intervento del coordinamento provinciale di Sinistra Critica: «Nel Medioevo c’era la gogna per l’esposizione dei colpevoli al pubblico lubidrio, oggi si può essere prelevati all’alba dai carabinieri e condotti in ospedale per un test delle urine, sotto gli occhi dei curiosi. Attribuire a tale modalità un carattere “sociale” o “educativo” rende palese a quale aberrazione è arrivata la cultura proibizionista in Italia. Tanto più che, nella fattispecie, si sta parlando di ragazzi minorenni o poco più che maggiorenni che per la legge sono innocenti fino alla conclusione di un eventuale processo e relativa condanna». «Alla pratica del controllo basata sulle le operazioni spettacolari – conclude Sc – crediamo sia necessario rispondere con un movimento antiproibizionista di massa, per arrivare alla legalizzazione delle droghe leggere. Per inciso questo significherabbe anche togliere alla criminalità organizzata una lauta fonte di guadagno». (t.c.)


Il Manifesto, 10 febbraio 2010

Prelevati da casa di notte per fare il test antidroga

di Orsola Casagrande
MONFALCONE – Iniziativa «educativa» dei Carabinieri a carico di 27 ragazzi

 

Si sono presentati nelle prime ore del mattino. Come accade solitamente. I carabinieri friulani hanno suonato i campanelli di ventisette abitazioni, a Monfalcone e comuni limitrofi come Ronchi dei Legionari, San Canzian d’Isonzo, Doberdò del Lago e Udine. Cercavano ragazzi tra i diciassette e i ventitre anni. Il mandato era prelevarli e portarli al pronto soccorso a fare degli esami per verificare la presenza di sostanze stupefacenti.
Una vicenda che ha dell’inaudito, anche se a Monfalcone c’è chi cinicamente dice «siamo ormai abituati alle novità». È stata un’operazione su larga scala partita dal Tribunale dei minori di Trieste e dal Tribunale di Gorizia. Un’operazione finalizzata, come hanno ammesso gli stessi carabinieri, a contrastare il fenomeno del consumo di droga tra i giovani e i giovanissimi. Dunque un’operazione con finalità educative. Tanto che nel comunicato dei carabinieri, come riportato dalla stampa locale e dalla delibera emessa lunedì dalla Camera Penale di Gorizia e firmata dal presidente, Riccardo Cattarini, si legge che l’operazione intendeva «dare un segnale volendo incidere sulla consapevolezza dei giovani ai fini del recupero di un sano stile di vita … e una sorta anche di raccomandazione alle famiglie sollecitandole a mantenere l’attenzione verso i propri figli, rilevando così lo spessore sociale dell’operazione medesima». Parole che hanno subito suscitato la reazione della Camera Penale di Gorizia, che infatti nella sua delibera esprime «preoccupazione per la dichiarazione dei Comandi dell’Arma secondo la quale l’operazione intera sarebbe stata finalizzata a dichiarati scopi politico sociali, siccome evidente esercizio di una funzione politico sociale che un ordinamento democratico ed attento ai diritti dei cittadini non può e non deve affidare alle Forze dell’Ordine». La delibera prosegue ricordando che «accertamenti sanitari che la legge prevede come assolutamente volontari sarebbero stati eseguiti, su richiesta dei Carabinieri, da reparti ospedalieri deputati alla medicina d’urgenza, con corrispondente impegno degli stessi per fini diversi da quelli istituzionali, previa, sempre secondo la stampa, “firma di un modulo”; tale modalità di esecuzione degli accertamenti sanitari non sembra, tuttavia, tranquillizzare circa la piena consapevolezza, da parte degli interessati, del diritto insopprimibile, in quanto disposto chiaramente dalla legge, di rifiutarsi di sottoporsi agli accertamenti sanitari che sono stati loro proposti».
Il fatto che nessuno dei ragazzi (o dei genitori, nel caso dei minorenni) abbia negato il consenso va letto evidentemente con un certo shock che chiaramente ha colpito le famiglie, svegliate alle tre del mattino. L’operazione è andata avanti fino alle quattro del pomeriggio. Quanto all’esito: sei persone sono state denunciate per cessione, ventuno sono state segnalate come consumatori alla prefettura. Modico il quantitativo di stupefacenti sequestrato. Ma il comandante provinciale dei carabinieri, Roberto Zuliani, ha ribadito il fattore sociale e di prevenzione all’interno del quale è maturata l’operazione dei suoi uomini. Le cronache locali citano il comandante: «Tante famiglie non immaginavano nemmeno che i figli consumassero droga, seppure leggera. È sbagliato – ha aggiunto il comandante – significa che i ragazzi hanno già intrapreso la strada sbagliata. Può essere una vita rovinata in partenza. Per i genitori, la nostra operazione di forte prevenzione deve essere un bel campanello d’allarme».
Carabinieri che si sostituiscono alla politica? Non è un caso che la delibera della Camera Penale si dica estremamente preoccupata per «l’utilizzo, che pare in questa occasione verosimilmente avvenuto, di uno strumento delicato e assai invasivo come quello dell’indagine penale, riservato all’accertamento dei reati, in situazioni che paiono, anche a prima vista, decisamente appartenenti – a tutto concedere – a forme di disagio sociale giovanile che debbono trovare giusta soluzione e supporto in interventi di natura educativa ed assistenziale, non già in operazioni di polizia che, in particolare in piccoli centri, sembrano inevitabilmente destinate a criminalizzare i destinatari dell’intervento, con il rischio che costoro vengano in seguito inseriti in reali circuiti criminali». A Gorizia, come a Monfalcone in questi giorni non si parla d’altro che di quanto accaduto. L’Officina Sociale, storico centro sociale della città di Fincantieri, ha organizzato per giovedì della prossima settimana un incontro con tutte le realtà cittadine e non solo.