ANTIRAZZISMO/ Una buona notizia

Repubblica 5 febbraio

In particolare al Sud gli intervistati parlano della salute come diritto inviolabile e un atto di solidarietà irrinunciabile
Risalendo la penisola aumentano quelli convinti che altrimenti ci sarebbe il serio rischio di epidemie incontrollate

“Sì alle cure per gli immigrati irregolari”
Censis, favorevoli otto italiani su dieci

Solo per il 13 per cento non hanno diritto all’assistenza perché non pagano le tasse
mentre il 5 per cento pensa che facciano aumentare in modo insopportabile i costi

"Sì alle cure per gli immigrati irregolari" Censis, favorevoli otto italiani su dieci

ROMA – Otto italiani su dieci si dicono favorevoli alla sanità pubblica per gli immigrati irregolari. E’ quanto emerge da un’indagine del Censis nella quale si rileva che più dell’80 per cento degli italiani ritiene che anche gli immigrati irregolari debbano avere accesso ai servizi sanitari pubblici. A volere la sanità pubblica anche per gli irregolari è l’86,1 per cento dei residenti al Sud, il 78,7 al Centro, il 78,4 al Nord-est e il 75,7 per cento al Nord-ovest. Dello stesso parere oltre l’85 per cento dei laureati, l’83,1 dei 30-44enni e più dell’85 per cento dei residenti nelle città con 30 mila-100mila abitanti. E’ alta la quota dei favorevoli anche tra i più cagionevoli di salute e quindi più bisognosi di cure: l’83,9 per cento di chi dichiara di avere una salute pessima auspica un’offerta sanitaria pubblica estesa anche a clandestini e irregolari.

Secondo il 65,2 per cento degli intervistati dal Censis, la tutela della salute sia un diritto inviolabile, quindi curare tutti è un atto di solidarietà irrinunciabile. Una scelta che prevale in modo trasversale nel territorio nazionale e nel corpo sociale. E’ l’opinione soprattutto dei residenti nelle regioni del Mezzogiorno (quasi il 74 per cento) e dei laureati (quasi l’80 per cento). Risalendo la penisola diminuisce la quota di intervistati che parlano della salute come diritto irrinunciabile per tutti, mentre aumentano quelli convinti che occorre assicurare la sanità anche agli irregolari perché altrimenti ci sarebbe il serio rischio di epidemie incontrollate. La pensa così poco più del 12 per cento dei residenti al Sud, il 15,4 al Nord-ovest, il 15,8 al Nord-est e oltre il 19 per cento al Centro. Questa opinione è diffusa anche tra chi dichiara di avere una salute pessima (e presumibilmente utilizza di più le strutture sanitarie) e tra chi possiede un basso titolo di studio.

Sul fronte del no si schiera meno del 20 per cento degli italiani: poco più del 24 per cento dei residenti al Nord-ovest, del 24,8 per cento delle persone con basso titolo di studio, di oltre il 24 per cento di chi vive nelle grandi città con più di 250mila abitanti. Solo per il 13 per cento degli intervistati, gli stranieri irregolari non hanno diritto alla sanità perché non pagano le tasse; per poco più del 5 per cento perché fanno aumentare in modo insopportabile i costi delle cure. Riguardo all”identikit sanitario’ della popolazione immigrata, che mediamente è più giovane e in salute di quella italiana, per il momento gli stranieri utilizzano meno le strutture sanitarie (si stima in circa il 65 per cento la quota degli stranieri presenti sul territorio italiano iscritti al Servizio sanitario nazionale) che per loro significano soprattutto Pronto soccorso (il 5,7 per cento vi si è recato negli ultimi tre mesi rispetto al 3,3 degli italiani) e ricoveri d’urgenza, piuttosto che prevenzione e visite specialistiche. Secondo il Censis, per il futuro, una maggiore integrazione degli immigrati comporterà anche livelli più alti di tutela della loro salute, in linea con gli standard degli italiani: occorre preparare quindi il Servizio sanitario nazionale in termini di risorse e di competenze.

Anche per Sergio Dompé, presidente Farmindustria, l’incremento dell’immigrazione insieme all’invecchiamento della popolazione, pongono “una sfida per un Servizio Sanitario già ai primi posti delle classifiche internazionali dell’Oms per rapporto qualità/prezzo/accessibilità. Anche per questo  – dice Dompè -tagliare gli sprechi è fondamentale in tutta la spesa sanitaria, quindi non solo nella farmaceutica, che rispetta il budget assegnato, mentre le altre voci continuano a crescere molto più dell’inflazione. E’ in definitiva prioritario puntare su maggiori controlli e sull’appropriatezza della spesa per garantire l’equilibrio e la sostenibilità del sistema, anche attraverso forme di compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini, fatte salve naturalmente le fasce più deboli”.

(05 febbraio 2010)