Troppa enfasi, mentre viene approvata la famigerata “legge di stabilità” che, fra le altre cose, introduce il regime militare in Valsusa e per le grandi opere inutili.
Comunque guardiamolo in faccia per l’ultima volta questo fascista di merda (se la intende proprio bene con Storace) che non sorride più quando arriva il momento di dare effettivamente le dimissioni.
Inutile negare che la soddisfazione per la caduta del nuovo duce del fascismo dell’era consumista è grande, ma, va anche detto che, pur essendoci stata una resistenza diffusa ed indomabile, non si tratta certo di una liberazione. La crisi è in qualche modo come una guerra e gli anglo-americani (anzi pure con i tedeschi in prima fila) sono intervenuti per risolvere l’anomalia italiana come precondizione per tentare di risolvere la crisi. Berlusconi lo hanno bocciato e cacciato i mercati; non è stata la società italiana a rispedirlo nelle sue fogne dorate. L’italia è il paese dove il fascismo è nato, dove non è mai stato completamente ripudiato e dove è rinato ed ha ripreso il potere in una versione, in un certo senso, ancora più pericolosa di quella del bieco ventennio. Il berlusconismo si è alimentato dal male profondo che attraversa la società italiana e che contamina e caratterizza tutto il sistema politico, economico ed istituzionale nel quale, volenti o nolenti, siamo intrappolati. L’italia rappresenta una “crisi nella crisi” nel mondo capitalistico, nella società e nella cultura occidentale. Ma considerato che dalla crisi non se ne esce e che ci aspettano lacrime e sangue (e non mari o/e monti) allora è il caso sì di gioire per 5 minuti, ma di restare assolutamente lucidi così come è stato fatto in piazza ad Udine sabato pomeriggio 12 novembre, nella iniziativa No Tav, durante la quale è stato chiaramente detto chi sono Monti per l’Italia e Papademos per la Grecia, cioè emanazione diretta della finanza e del comando capitalistico. Oggi quindi si tratta di ridefinire urgentemente i parametri della lotta di classe, della lotta sociale, della lotta ecologica e di difesa del territorio dalle devastazioni delle grandi opere inutili e trovare una sintesi nuova, di azione ed organizzazione politica che parta proprio dalle problematiche del territorio. Tutto questo è possibile ed il movimento libertario deve fare quello sforzo storico necessario per uscire dal minimalismo contraddittorio, settario ed inefficace che ancora lo caratterizza e per sviluppare nuove situazioni di lotta reale, locale, globale e generalizzata. I metodi della democrazia assembleare, dell’autogestione e dell’azione diretta, che ci rendono irrecuperabili dalle istituzioni, devono diventare patrimonio condiviso a livello di massa e non mere “parole d’ordine” di organizzazioni precostituite, in quanto tali inevitabilmente interessate solo o soprattutto, ad effettuare proselitismo fine a se stesso a scapito dell’autonomia e della pratica autogestionaria dei movimenti.
Paolo De Toni 12 – 13 novembre 2011
Foto dal Corriere della Sera 12 novembre 2011
Intervista (deludente) ad Altan