ACQUA/ Oltre il referendum

E’ necessario dirlo, ora che l’enfasi referendaria (anche comprensibile) è finita, che i due referendum sull’acqua risolvono molto poco. Innanzitutto la questione dell’alternativa fra gestione pubblica e privata, intesa nei termini di  “affidamento in house” o  “andare a gara”  è come la classica scelta fra la padella e la brace. In secondo luogo limitarsi a mettere sotto accusa la remunerazione del capitale piuttosto che la questione degli investimenti in quanto tale, vuol dire graffiare, ma non mordere.

Già in epoca pre referendaria abbiamo sempre detto che il vero problema sono gli investimenti per le opere ( cioè innazitutto gli impianti di depurazione, poi le fognature ed in ultimo gli acquedotti) che devono essere pubblici e non caricati sulle bollette come invece è previsto dall’attuale normativa. Per questo essere per “l’acqua pubblica” e ignorare, per esempio, la questione della TAV vuole dire essere falsi ed imbecilli. Infatti, siccome si tratta di una questione di soldi, (64 miliardi in 30 anni, cioè oltre 2 miliardi all’anno) il problema è bloccare le grandi opere e pretendere che gli investimenti pubblici vadano per la manutenzione del territorio e la difesa dell’ambiente. Nel cosiddetto S.I.I. (Servizio Idrico Integrato) la voce più costosa è la depurazione dell’acqua, cioè la restituzione del bene naturale all’ecosistema, ma pulita! Di questo non si è mai parlato durante i referendum. Certamente ci sono zone dell’Italia che soffrono molto per la fornitura dell’acqua, ma come dimostrano le zone dove il problema della fornitura praticamente non c’è (per esempio la nostra Regione dove è facile garantire, – in house – sic!-  senza razionamenti, acqua di buona qualità, a prezzi alti ma non esorbitanti e facendoci perfino buoni profitti) il problema economicamente enorme sono gli investimenti per gli impianti di depurazione e le fognature (miste o doppie). Da questo punto di vista tutto resta come prima e la battaglia è aperta, ma c’è da chiedersi quelli con la bandiera per i “2 si” ci saranno?

 

A cura del Gruppo per l’Ecologia Sociale

 

Un articolo di analisi piuttosto apptrossimativo giusto per fissare le idee

 

Repubblica

Dalle bollette ai tubi-colabrodo ecco cosa cambia dopo il voto

COSA CAMBIA DA SUBITO CON LA VITTORIA DEL “SÌ”?

Si abolisce il decreto Ronchi. Con un primo effetto immediato: gli Ambiti Territoriali ottimali (Ato) che avevano mantenuto in mano pubblica l’ acqua non saranno obbligati a privatizzarla entro il 31 dicembre, riassegnandone la gestione con una gara e girandone ai privati almeno il 40%. Un vincolo temporale coercitivo che rischiava di portare a una svendita della rete. Qual è adesso la legge di riferimento per il settore idrico? La Corte costituzionale ha indicato come stella polare la normativa comunitaria. Un quadro a maglie molto larghe che consente agli enti locali sia di tenere il servizio in mano pubblica senza obbligo di gara che di privatizzarlo o di cederlo alle multiutility. È ovvio però che il Parlamento sarà costretto a rimettere mano alla normativa del settore, tenendo conto dell’ esito del referendum.

 

CHE COSA SUCCEDERÀ ORA ALLE NOSTRE BOLLETTE?

Questo è forse il capitolo più critico. Che rischia di aprire una valanga di contenziosi legali. I promotori del referendum sono categorici: la Corte costituzionale, dicono, ha precisato che già nelle prossime bollette si dovrà ricalcolare il prezzo eliminando (dove esiste) il 7% di remunerazione fissa per il gestore. Con la possibilità per gli utenti di far causa se il prezzo non scende. Uno spauracchio che ha fatto tremare ieri i titoli delle multiutility idriche a Piazza Affari (Acea rischia di veder scendere del 22% la sua redditività). Un’ interpretazione più soft di alcuni dice che l’ abolizione del 7% vale solo per le future revisioni di prezzo legate a nuovi investimenti. Di sicuro politica e Authority dovranno studiare un nuovo decreto tariffario. Lasciando però aperta la porta a una valanga di cause legali fino alla sua stesura.

 

I PRIVATI DOVRANNO USCIRE DALLA GESTIONE DELL’ ACQUA?

No. Le concessioni in essere hanno una durata tra i 25 e i 30 anni e non sono toccate dal punto di vista contrattuale dall’ esito del referendum. Per gli Ato a gestione privata o mista dunque, almeno in teoria, non cambia niente fino alle scadenze degli accordi di gestione. L’ abolizione del rendimento garantito e la prospettiva di un nuovo quadro normativo più vicino allo spirito del referendum potrebbero però ridurre di molto l’ appeal per l’ ingresso di nuovi capitali privati nel settore. I referendari chiederanno addirittura di obbligare da subito i gestori dei servizi idrici a scorporarli in società separate in vista di una loro ripubblicizzazione. Ma questo pare un percorso giuridicamente complesso e allo stato poco praticabile e in ogni caso dovrà essere normato da un accordo politico.

 

CHI PAGHERÀ I 64 MILIARDI NECESSARI PER TAPPARE LE FALLE NEGLI ACQUEDOTTI?

I privati (che grazie al meccanismo degli extra-profitti mandavano in porto l’ 87% degli investimenti concordati con gli Ato) tireranno ora il freno senza ritorno garantito. Difficile che a mettere soldi siano gli enti locali che già oggi causa ristrettezze finanziarie realizzano meno del 50% dei lavori promessi. Lo Stato, stima il Censis, è in grado di garantire solo il 14% dei 64 miliardi necessari. Il resto dovrà arrivare da ritocchi tariffari (con un aumento del 18% della bolletta da oggi al 2020) o dalla fiscalità generale, trovando cioè soldi in altri capitoli di bilancio. L’ Italia è però obbligata a trovare almeno i soldi necessari per sistemare i suoi impianti di depurazione per i quali è già stata messa sotto procedura dalla Ue.

 

COSA POSSONO FARE ORA I COMUNI CHE DEVONO ANCORA ASSEGNARE LA GESTIONE?

In primo luogo non sono più obbligati a prendere una decisione entro fine anno. Poi aspetteranno di sicuro che il Parlamento fissi i nuovi paletti normativi per la gestione del servizio idrico. Quindi valuteranno caso per caso la soluzione migliore. Il nodo da sciogliere sarà semplice: come garantire il miglior servizio al miglior prezzo (e rispettando lo spirito del referendum) senza trascurare gli investimenti necessari per adeguare le infrastrutture. Il 20% degli italiani non è oggi servito da un servizio di depurazione delle acque. E dal 50% dei rubinetti nel sud del paese esce oggi acqua non depurata. C’ È IL RISCHIO DEL RITORNO DI INEFFICIENTI CARROZZONI PUBBLICI? L’ acqua pubblica italiana è oggi un mondo a due facce. Con realtà in mano agli enti locali gestite con grande efficienza e trasparenza e altre utilizzate più che altro per garantirsi il consenso sul territorio, con i vecchi e collaudati metodi della moltiplicazione delle poltrone e delle assunzioni facili. Sarà compito della nuova normativa di settore incardinare in norme gli anticorpi necessari per prevenire fenomeni di questo genere. I referendari spingono per controlli dal basso, ma è probabile che (oltre alla Corte dei Conti) anche alla Authority prossima ventura siano affidati poteri e strumenti dissuasivi adeguati per tenere un faro acceso su tutti i protagonisti, pubblici e privati, nella disastrata rete idrica tricolore. – ETTORE LIVINI

 

Articolo dell’Espresso in pdf


Un sistema di comparazione dei costi di parte governativa e filo-industriale

(nota i 64 miliardi previsti sono per tutto il sistema idrico e più della metà sono per depuratori e fognature)

 

Venerdì 20 Maggio 2011 11:34

ACQUA: FEDERUTILITY, SETTORE NECESSITA DI 64 MLD DI INVESTIMENTI

(AGENPARL) – Roma, 20 mag – “Gli investimenti previsti per il settore idrico nei prossimi 30 anni ammontano a circa 64 mld di euro. Questa stima è ricavata dai Piani d’Ambito redatti dalle Autorità d’Ambito (Aato), che prevedono investimenti in tutti i comparti del servizio idrico integrato: acquedotto, fognatura e depurazione”. Lo dice Federutility in una nota distribuita al convegno sull’acqua in corso oggi a Firenze. “Per comprendere l’ammontare di tali investimenti, si propongono le seguenti comparazioni: – 50 miliardi di euro corrispondono al piano di privatizzazioni deciso dal governo greco per uscire dalla crisi finanziaria; – 60 miliardi di euro equivalgono a 10 volte la costruzione del Ponte di Messina; – 60 miliardi di euro equivalgono a 30 volte la costruzione dell’autostrada tirrenica; – 60 miliardi sono tre volte gli investimenti previsti dal progetto Fabbrica Italia della Fiat; – 60 miliardi sono il 3,3 % del Pil italiano in un anno; – il Piano nazionale per il Sud del Governo è di 40,3 miliardi fino al 2013. Gli investimenti nel settore idrico producono un triplo dividendo: 1) Producono un aumento della qualità del servizio ai cittadini e realizzano la tutela e la salvaguardia della risorsa (cosi come previsto dalla Direttiva Quadro europea, Dir. 2000/ 60). 2) Hanno un effetto anticiclico sull’andamento del Pil nazionale. Producono posti di lavoro soprattutto per i giovani: secondo le stime operate da diversi studi svolti negli Usa all’inizio della crisi (2008 – 2009) – ed elaborate dal Rapporto Ambiente Italia – , un milione di dollari di investimento nel settore idrico produce tra 15 e 22 posti di lavoro. Su un investimento di oltre 60 mld in trent’anni si può prevedere un aumento degli occupati di 30.000 unità all’anno, lo 0,1% dell’occupazione nazionale”.